MILANO – «Le attuali procedure diagnostiche consentono di escludere categoricamente ogni possibile confusione tra morte cerebrale e coma»: la legge sulla donazione degli organi è chiara, ma la storia di Carina Melchior, la ragazza che non voleva morire (come hanno già titolato i giornali), è di quelle che fanno tremare lì per lì, anche se poi rileggendola assume contorni ben diversi.
ERRORE O CATTIVA COMUNICAZIONE - Secondo la famiglia si è trattato di un errore diagnostico e la ragazzina era già avviata verso l’espianto degli organi, dopo un terribile incidente automobilistico, quando improvvisamente si è svegliata e ha sorriso. Secondo i medici dell’Aarhus Hospital danese si è trattato invece di cattiva comunicazione, di un malinteso comprensibile e umano da parte dei famigliari, forse di una pressione psicologica eccessiva e inadeguata. La morte encefalica e una conseguente osservazione di sei ore sono la conditio sine qua non per procedere a espiantare gli organi e quando Carina si è svegliata tutti erano pronti a questa realtà. Così per fortuna non è stato, ma ora la bella notizia lascia il posto alle polemiche, sulla scia di precedenti storie misteriose o improbabili di persone tornate inspiegabilmente alla vita dopo una morte apparente.
DOPO LA GIOIA LA RABBIA - I medici stavano preparando la famiglia Melchior alla sofferta ma nobile decisione di espianto degli organi. Poi Carina, tra la commozione e lo stupore generale, ha aperto gli occhi e ha mosso le gambe. E nei famigliari, già pronti alla dolorosa realtà, è subentrata la rabbia per l’atteggiamento dei medici. La giustizia accerterà gli eventi, anche se al momento pare che lo staff ospedaliero stesse semplicemente (e ragionevolmente) preparando i genitori all’eventualità. Carina Melchior è l’ultimo caso controverso di persona che si ribella a un coma che sembra non dare alcuna speranza e decide di vivere, ma l’iter previsto dalla legge sugli accertamenti clinici necessari alla dichiarazione di morte encefalica non si era ancora concluso. Di lì a poco, dopo averne constatato la totale assenza di qualsiasi funzione cerebrale, i dottori avrebbero potuto procedere all’espianto degli organi, regalando all’umanità e ai famigliari quantomeno la consolazione di un’altra vita salvata. Grazie a Carina. Ma Carina si è svegliata, ed è già pronta per montare la sua adorata cavalla, Mathilde.
LE REAZIONI – Il padre Kim ha dichiarato al giornale locale Ekstra Bladet di essere intenzionato a fare chiarezza sull’accaduto, convinto che qualche passaggio fondamentale sia stato saltato dai medici che, con troppa disinvoltura e troppa fretta, hanno staccato il respiratore e stavano per dichiarare la ragazzina pronta a salvare un’altra vita. Ora la famiglia citerà in giudizio l’Aarhus Hospital e chiederà i danni, mentre l’avvocato dei Melchior, Nils Fjeldberg, racconta che la ventenne gli ha più volte domandato se i dottori volessero ucciderla. Sui medici danesi cala il sospetto che la ricerca di un donatore a tutti i costi abbia suggerito al personale ospedaliero di tagliare i tempi necessari per legge agli accertamenti clinici, ma i dottori si difendono sostenendo che a loro spettava il difficile compito di iniziare a preparare la famiglia. Le modalità che la condizione di morte encefalica deve seguire sono stabilite per legge e chiaramente non valgono scorciatoie: non ci deve essere attività elettrica del cervello né reazioni agli stimoli dolorosi e nemmeno respiro spontaneo e stato di coscienza. A quel punto, una volta avvenuta la dichiarazione di morte cerebrale, sono previste sei ore di osservazione. Solo dopo aver seguito questo percorso si possono espiantare gli organi.
L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE – Secondo un medico intervistato dalla stampa danese si tratta di un caso di cattiva comunicazione più che di un errore di diagnosi. La ragazza non era ancora stata dichiarata pronta all’espianto, ma il quadro clinico li aveva già portati a decidere di staccare il respiratore. I medici stavano iniziando ad affrontare il discorso con i parenti, nell’ipotesi in cui le funzioni cerebrali si fossero azzerate per il periodo previsto dalle norme. Considerato il tema delicato anche un eccesso di pressione psicologica o una spiegazione approssimativa può essere un fatto gravissimo, ma non si deve confondere la leggerezza e l’inadeguatezza psicologica dei medici con la confusione tra morte e coma.
IL PARERE DEGLI ESPERTI - Come spiega Franco Filipponi, direttore del centro trapianti fegato di Pisa, «due o tre anni fa accadde una situazione speculare in Francia, a Parigi, ma anche in quel caso si trattò, come è probabile che si tratti nel caso della ragazza danese, di una cattiva comunicazione tra medici e famigliari». E’ fondamentale, come fa notare Filipponi, che il personale ospedaliero abbia la delicatezza di comunicare nel modo e nei tempi giusti con i famigliari di un ipotetico espianto, ma in questi casi è anche vero che la famiglia, evidentemente e comprensibilmente scossa dagli eventi, può intendere male la verità. Confondere un caso di mala-comunicazione (pur gravissimo per le sue implicazioni profonde) con un errore di diagnosi può condizionare la questione della donazione degli organi in modo importante. Oltre che ingiusto. Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore del dipartimento di medicina e dei trapianti degli ospedali riuniti di Bergamo, si sofferma sui pregiudizi che possono generare timori infondati nelle persone in merito alla donazione di organi: «Gli organi si prelevano ai morti e le persone che sono in coma possono morire (nel trenta per cento dei casi) o svegliarsi (nel settanta per cento dei casi). A volte possono esserci sensazioni o indizi talmente forti da indurre i medici a preparare già i famigliari a un’evoluzione della situazione in senso negativo e dunque a un’ipotetica donazione degli organi. Ma le persone devono sempre aver presente che un morto che dona gli organi viene osservato più a lungo di un morto che non dona gli organi». Le sei ore previste dalle legge sulla donazione sono la migliore garanzia. A volte poi può accadere che i medici dimentichino di avere a che fare con genitori, fratelli, figli, mogli o mariti straziati dal dolore e non considerino che la psicologia è un importante aspetto della professione medica. Ma questo è un altro discorso: secondo la scienza i morti non possono resuscitare. Non dopo sei ore di morte cerebrale.